Fabio Pecchia, "l'Avvocato" che ama il calcio

24.08.2024 14:00 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Tmw e Il Giornale
Fabio Pecchia
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Fabio Pecchia
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Fabio Pecchia oggi compie 51 anni, auguri, è un ex calciatore, ha indossato anche la maglia del Torino nella stagione 1990-2000, e poi è diventato allenatore, attualmente del Parma che  ha riportato in Serie A vincendo lo scorso campionato di B, ed soprannominato "l'avvocato" perché si è laureato in giurisprudenza.

“Ci ho messo 10 anni – ha detto Pecchia in un’intervista a “Il Giornale” qualche anno fa -,  ma sono diventato avvocato”. Allora, giocava nel Foggia ed aveva 34 anni, e poi aggiunse: “Veramente spero di andare avanti a giocare per molto tempo, il calcio è la mia passione altrimenti non sarei qui. Intraprendere la carriera di allenatore mi entusiasma, ma se dovesse andare male poi magari esercito”.

Da allora di strada nel calcio ne ha fatta ancora tanta Pecchia.

Essere un avvocato è la classica porticina che si tiene aperta?
“Volevo vivere a 360 gradi, il calcio è un mondo straordinario, ma ti preclude altre conoscenze, volevo aprire la mia mente. Il diritto poi è sempre stata una materia che mi ha appassionato fin dagli studi di ragioneria quando ero ad Avellino”.

Un secchione?
”Macché, ci ho messo dieci anni a laurearmi e devo anche ringraziare mia moglie. Noi ci siamo conosciuti all’Università e mi interrogava prima di ogni esame, avvocato anche lei. Ci sono stati periodi durissimi, il calcio, la famiglia, poi sono arrivati i figli. Commerciale e Procedura Civile li ho dati mentre ero già padre”.

E il primo esame se lo ricorda?
“Storia del Diritto romano, un classico, non è un esame difficilissimo. Il difficile è riprendere gli studi se si lascia passare troppo tempo dopo le superiori. Sono sempre stato molto proiettato nella mia carriera calcistica ma non ho mai smesso di pensare a laurearmi”.

Lei è sempre così determinato?
“I miei mi hanno insegnato a rispettare gli impegni presi. Tutto qui. Andavo da una squadra all’altra e mi portavo dietro i miei libri, Avellino, Napoli, Juventus, Torino, Siena, Bologna, neanche me le ricordo più tutte, meglio consultare l’Almanacco. Tante volte ho dovuto rinunciare a qualche cena con i compagni, tutti con una grande pazienza perché io ripetevo le lezioni nello spogliatoio ad alta voce e molti erano anche interessati”.

E’ riuscito a convincere qualcuno a riprendere gli studi?
“Partivo sempre con questa domanda: secondo voi sono uno scienziato?”.

E loro?
“Giù a ridere. Però era un peccato, molti hanno qualità ma si fanno vincere dalla pigrizia. E’ una sfida anche questa, gli studi non precludono la carriera calcistica. Ma non credo sia facile per un ragazzo che si sacrifica con allenamenti lontano da casa e spostamenti quotidiani, mettersi sui libri alla sera”.

Lanci un appello.
“Non si studia per avere uno sbocco, i guadagni che offre il calcio valgono di più di un pezzo di carta. Si studia perché si apre la mente”.

Poi se uno fa il calciatore, un diciotto lo porta sempre a casa, o no?
“Battevo i denti, non dormivo la notte, la tensione prima di un esame non l’ho mai provata in vent’anni di calcio”.