ESCLUSIVA TG – Gandolfo: “Pulici ha la pelle con la maglia granata impressa e il numero 11 sulla schiena, lui è il Toro”
Beppe Gandolfo è stato intervistato in esclusiva per TorinoGranata.it. Gandolfo è giornalista del Tg 5 e tifoso del Toro. Con lui abbiamo parlato del suo nuovo libro “Pulici il mito“, edito da Priuli e Verlucca, in omaggio al più grande attaccante con 172 gol della storia del Torino, Paolo Pulici che domani compirà 70 anni. I proventi del libro per volontà dell’autore e anche per desiderio di Pulici, al quale non va alcun provento, saranno devolute a chi prosegue le attività di Don Aldo Rabino, storico indimenticato e indimenticabile cappellano del Torino. Con Gandolfo è stato affrontato anche l’argomento della ripresa del campionato e come il Torino può affrontarla.
Paolo Pulici domani festeggerà il suo compleanno, a parte i giocatori del Grande Torino e forse pochi altri, è il giocatore che incarna fino in fondo il Toro?
“Paolo Pulici ha la pelle con la maglia granata impressa sopra e il numero 11 sulla schiena perché lui è il Toro. Rappresenta esattamente il Toro per i risultati che ha portato, infatti, mai nessuno come lui ha realizzato 172 gol con la maglia granata e ha fatto rivincere alla squadra, dopo 27 anni dalla tragedia di Superga, uno scudetto e, soprattutto, per quello spirito, determinazione, senso di appartenenza, grinta, capacità di non arrendersi mai che soltanto lui e il popolo granata sono riusciti a interpretare”.
Ecco spiegato il titolo del libro “Pulici il mito“. Il libro è un romanzo biografico, come mai ha scelto questo genere?
“Ho immaginato che Zeus e gli dei dell’Olimpo qualche mese dopo la tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio del 1949, si riuniscono e decidono di ripagare il popolo granata e il mondo sportivo italiano dell’irreparabile danno provocato dalla grandissima perdita del Grande Torino e allora mandano sulla Terra per far incarnare lo spirito di quel Toro un neonato che viene concepito nel mese di luglio e nascerà il 27 aprile 1950, otto giorni prima del primo anniversario di Superga. E Pupi, al di là del romanzo, è riuscito in tutto per tutto a incarnare lo spirito di quel Toro perché mai nessuno come lui è riuscito a far risaltare il popolo granata dopo gli Invincibili”.
Quindi se non c’è un intervento “divino” è difficile pensare che il Torino potrà avere un altro giocatore con quel carisma e quelle capacità?
“Il mio è un romanzo biografico quindi rimane tale. E’ proprio cambiato il mondo del calcio, nel senso che oggi identificare un calciatore con una maglia diventa difficile, non soltanto per il Torino, ma per tutte le squadre. Forse gli ultimi giocatori bandiera sono stati Francesco Totti per la Roma, Alessandro Del Piero per la Juventus, Javier Zanetti per l’Inter e Paolo Maldini e Franco Baresi per il Milan. C’è però da dire che al Torino quando un giocatore è rimasto un po’ più di tempo è riuscito se non a diventarne il simbolo, almeno a far affezionare i tifosi e oggi le generazioni più giovani ricordano ancora Rolando Bianchi e l’idolo attuale è Andrea Belotti, al di là che sia un attaccante e che segni gol, ma pian piano sta interpretando che cos’è e che cosa vuol dire essere del Toro. Come diceva Don Aldo Rabino capisce cosa vuol dire essere del Toro chi sale a Superga perché quando si sale a Superga si capisce veramente cosa vuole dire indossare la maglia del Toro”.
Per capirlo però bisogna avere già una sensibilità di base perché soprattutto negli ultimi anni centinaia di giocatori sono saliti a Superga, ma molti non l’hanno o non hanno voluto capirlo.
“Magari venivano da mondi completamente diversi e non posso pensare che un calciatore che arriva dal Sud America piuttosto che dall’Africa possa capirlo. E poi ci sono state porte girevoli e i giocatori stanno un anno, un anno e mezzo e altri anche solo sei mesi e poi vanno via e allora come si fa ad affezionarsi a un popolo, a una maglia. Non lo dico per criticare, ma è proprio cambiato il clima e vale lo stesso per qualsiasi altra squadra. Un campione come Ibrahimovic ha indossato tante maglie diverse negli ultimi anni. Lasciamo stare la Juventus, però, mi viene in mente che Higuain fino all’altro ieri era al centro dell’attacco bianconero e adesso è in Argentina e non vuole più tornare. E’ cambiato il mondo dello sport e del calcio, non c’è più l’appartenenza. Non voglio dire che siano dei mercenari, ma sono dei professionisti che anno per anno giocano per la squadra nella quale vengono ingaggiati senza più di tanto legarsi affettivamente a quella squadra, a quel mondo e a quel popolo.
Pulici abitava nel quartiere Santa Rita, andava all’allenamento a piedi accompagnato dai tifosi che gli portavano il borsone a spalle e se aveva giocato bene lo incitavano e lo abbracciavano e se, invece, aveva sbagliato dei gol erano critici nei suoi confronti. Lui è stato quindici anni nel Torino ed è arrivato che aveva diciassette anni, un ragazzino che arrivava da un paesino come Roncello in Brianza che aveva mille abitati e si ritrovato in una città come Torino che in quegli anni stava esplodendo con l’immigrazione del Sud diventando una delle città “meridionali” più grandi d’Italia. Pulici respira quest’aria e diventa uno di questi immigrati anche se arriva dalla Lombardia e non dal Sud. Torino diventa la sua casa, c’era il Filadelfia dove i ragazzi della Primavera avevano lo spogliatoio al fianco di quello dei giocatori della prima squadra. A un certo punto Pupi racconta che durante un allenamento Ferrini lo prese a calci, pugni e gomitate per tutta la partita finché lui non ce la fece più e si voltò tirando una gomitata in faccia a Ferrini che cadde a terra sanguinante e poi Ferrini si rialzò dicendo: “Ecco adesso tu sei da Toro. Hai capito che cosa vuol essere da Toro”. Aveva dato una gomitata al capitano dei capitani ed è questo che crea lo spirito di una squadra e oggi non c’è più tutto questo e non lo dico in senso positivo o negativo, non sono uno che guarda solo al passato: è cambiato il modo di interpretare la professione del calciatore”.
Adesso però il Torino ha non un calciatore, ma un allenatore, Moreno Longo, che lo spirito Toro lo conosce e lo incarna forse è proprio da lui che Torino deve ripartire per costruire il futuro?
“Quante volte lo abbiamo detto e non voglio essere malaugurante nei confronti di Moreno Longo al quale mi lega un’amicizia da ragazzini, ma in questi ultimi anni era arrivato Novellino, che era un ragazzo del Filadelfia, era arrivato Lerda. Non è solo quello e sbaglieremmo a pensare di voler ricostruire quel Torino perché oggi, ripeto, il calcio è completamente diverso e bisogna saperlo interpretare con gli uomini che si hanno a disposizione. Al Filadelfia allora c’era l’accompagnare i giocatori, entravi e c’era davanti agli spogliatoi il cortile dove la gente aspettava che i calciatori entrassero e uscissero, mentre oggi li si vede a malapena entrare e uscire in macchina dal garage. Sarebbe sbagliato oggi pensare di realizzare un album discografico senza strumenti quali il computer e tutto quanto la nuova tecnologia ci offre basandoci solo sui virtuosismi dei pianisti, dei chitarristi e dei batteristi. E’ cambiato il modo di fare musica ed è cambiato il modo di fare calcio, certo un attaccamento alla maglia, il dare fino all’ultima goccia di sudore serve, però servono anche gli strumenti, i giocatori e la preparazione adatta. Sono tante le componendi. Una volta era la famiglia che faceva il Filadelfia, mentre adesso servono staff tecnici, accompagnatori, dirigenti e, soprattutto, calciatori al tipo di gioco. Sono molto fiducioso su quanto potrà fare Moreno Longo se, appunto, avrà il tempo e ci saranno le condizioni.
In questo momento mi sembra di poter dire che tutto ciò non c’è e, se me lo si consente, faccio anche fatica a parlare di calcio con tutto quello che sta succedendo. Non riesco a immaginare un allenamento in cui bisogna stare a due metri di distanza, non riesco a immaginare una partita che sia disputata a porte chiuse o che si giochi, magari solo in certi campi del Sud o comunque non nelle regioni più colpite dal Coronavirus. Questo è veramente un mondo in cui comanda soltanto il denaro e si pensa a non perdere i soldi che le piattaforme televisive danno per cui in qualsiasi maniera si deve finire il campionato. Ma che campionato è quando la gente non può andare a vedere la partita allo stadio o gli allenamento al campo. Sono saltati due–tre mesi di calcio. E’ come giocare alla Play Station. Ogni tanto vedo in televisione che fanno le partite o i Gran Premi alla Play Station e mi sembra la stessa identica cosa, mi sembra veramente senza senso”.
La volontà ferrea è di riprendere il campionato e il Torino prima dello stop era in grande difficoltà, non aveva conquistato neppure un punto dall’inizio del girone di ritorno precipitando a ridosso della zona retrocessione. Il Torino alla ripresa potrà essere diverso da quello che si era visto fino all’ultima partita persa con il Napoli?
“E chi lo sa, è come leggere dentro la sfera di cristallo. E’ assolutamente impossibile immaginare che cosa possano ritrovare Moreno Longo e il suo staff a metà maggio, se questa sarà la data della ripresa degli allenamenti collettivi. E non si sa neppure quanto tempo ci sarà prima di riprendere a giocare e se sarà possibile rifare la preparazione atletica e come si potrà eventualmente farla allenandosi stando a due metri di distanza. Non lo sto assolutamente dicendo perché chiudere la stagione vorrebbe dire che il Torino è salvo, non parlo solo per il Toro perché vorrei capire come si può fare. La Lazio che era la squadra più in forma come può tornare in campo dopo più di due mesi di assenza e di lontananza anche con la testa. Ripeto, è soltanto una questione di denaro per non dover pagare le penali alle piattaforme televisive e ci sono i presidenti e le Federazioni che sono attaccate ai soldi. Ma se poi succedesse che anche solo un calciatore risultasse positivo al Covid-19 che cosa si fa? Si ferma di nuovo tutto? L’ultima partita che ho visto è stata Juventus-Inter e al gol bellissimo di Dybala tutti i giocatori bianconeri si sono abbracciati e poi negli spogliatoi hanno festeggiato e alcuni poi sono risultati positivi al virus e adesso si dice che si è pronti a ripartire? Mi viene la nausea solo a sentire certi discorsi”.
Diventa difficile conciliare la salute pubblica con il terminare il campionato e le varie competizioni internazionali entro luglio e agosto.
“Andiamo con calma, nel 2022 ci sarà i Mondiale di calcio e si svolgerà in Qatar dal 21 novembre al 18 dicembre e allora facciamo terminare il campionato alla fine del 2020 e il prossimo lo disputiamo nell’anno solare 2021 così si può giocare l’Europeo e l’anno successivo il Mondiale a fine stagione. Purtroppo è così anche per tante altre attività della nostra Italia e della nostra Europa. Capisco che ci siano milioni e milioni di euro in ballo e solo in Italia, mi dicono, che ci sono 100 mila famiglie legate al mondo del calcio tra steward, ristoranti e hotel e quanto è legato a questa che è una delle più grandi industrie del Paese, però, c’è stata una guerra contro un nemico invisibile, ma sempre di guerra si è trattato e non si può ripartire da domani mattina come se non fosse successo nulla. Non lo so, faccio proprio fatica a immedesimarmi. Poi, magari, mi sbaglio e dopo tre partite tutti sono perfettamente in forma e torniamo di nuovo a discutere se era fuori gioco o se c’era oppure no il calcio di rigore, ma al momento non riesco a concentrarmi sul riprendere a giocare a calcio”.