ESCLUSIVA TG – Enrico Borghi (Senatore): “Il Toro non può avere una dimensione di subalternità, da troppo tempo si attende una squadra all'altezza”
Il Senatore Enrico Borghi è stato intervistato in esclusiva da TorinoGranata.it. Borghi fa parte del gruppo politico ItaliaViva-RenewEurope e del Toro Club Parlamento, composto sia da Senatori sia da Deputati di ogni schieramento politico. Con lui abbiamo parlato dell’attuale situazione del Torino, squadra di cui è tifoso fin da bambino.
Da tifoso, cosa pensa di questo Torino?
“Penso che siano troppi, troppi, troppi anni che abbiamo una squadra che non è all'altezza del blasone, della storia e delle potenzialità del nome Torino. La cosa che mi sorprende è il fatto che nel mondo ci siano diverse realtà calcistiche che hanno caratteristiche, affinità ad una società come la nostra e che veleggiano in condizioni decisamente migliori, partecipano regolarmente alle Coppe europee, si affermano nei propri campionati e vincono trofei. Invece noi rimaniamo sempre in una sorta di limbo, tra coloro che sono sospesi. Oramai sono quasi due decenni, che galleggiamo sempre a metà classifica, più ansimando in alcune stagioni in una dinamica di salvataggio, ma rimanendo ben lontani, fatte salve alcune brevi sporadiche eccezioni, dalle competizioni europee. Credo che questo per uno che abbia avuto il suo imprinting nel Toro di Claudio Sala, Ciccio Graziani e Paolo Pulici sia una cosa semplicemente non compatibile con le aspettative, ma credo anche con le aspettative del popolo granata. E’ bastato solo vedere quest'anno quando all’inizio c’era stata quella fiammata iniziale, che aveva lasciato ben sperare, per avere lo stadio colmo anche in partite non certo di cartello, a dimostrazione che basta poco per accendere un popolo che attende oramai da troppo tempo una squadra che sia all'altezza delle aspettative”.
Dopo questa fiammata iniziale dalla partita di Coppa Italia, con tanto di eliminazione da parte dell'Empoli, c'è stato il tracollo e si è vista solo più una vittoria contro il Como e per il resto sconfitte. Nelle ultimissime partite con meno gol subiti, però comunque sconfitte culminate con quella con la Juventus, tra l'altro ennesimo derby disputato sotto le aspettative di qualsiasi tifoso. Lei che idea si è fatto di questo periodo negativo?
“Penso che il punto di svolta, quasi psicologico, della squadra sia stata l’infausta trasferta di San Siro con il grave infortunio a Zapata. Parliamoci chiaro, Zapata fa reparto da solo e quindi la sua presenza all'inizio di stagione aveva caratterizzato un Toro che dopo non è stato più la stessa squadra, però qui dobbiamo andare al fondo del perché: noi abbiamo evidenti problemi in difesa e altrettanto evidenti problemi in attacco. E’ di tutta evidenza che se tu vendi Buongiorno e Bellanova e li rimpiazzi per modo di dire e non prendi nessuno per sostituire Zapata nel momento in cui ha questo tipo di infortunio, significa che ti acconci ad una dimensione subalterna. Credo sia questo che la tifoseria non sta perdonando al presidente Cairo: l'idea che si sta in una dimensione di subalternità che poi psicologicamente si trasferisce in quello che abbiamo visto sul campo nel derby. Ripeto, io sarò stato abituato male, ero bambino negli anni ‘70, ma noi allora il derby lo sognavamo perché pur sapendo di avere una squadra con un tasso tecnico sempre inferiore alla Juventus suppliva questo gap con la grinta, con l'entusiasmo, con la passione, con lo spirito Toro e con il “tremendismo granata”. Chi ha la mia età ha ancora nel cuore come si comportava Ferrini durante i derby. Tutto questo adesso non c'è più nei derby, mentre dovrebbe esserci. Questo è un problema perché vuol dire che la società non è in grado di trasmettere ai giocatori l'unicità e la quintessenza di che cosa significa la maglia del Toro. Se perdiamo la nostra identità diventiamo come qualsiasi altra società e allora non siamo più il Toro. Noi nel bene e nel male siamo un portato, un substrato di storie incredibili, ma se uno entra in campo e non sa cosa sia stata Superga, chi siano stati Meroni e Ferrini, cosa sono stati gli anni ‘70, cosa è stato il fallimento del club, cosa è stata la marcia dei 50.000, ebbene se uno entra in campo, si mette la maglia del Toro e non sa cosa sia tutto questo allora vuol dire che non è da Toro”.
Secondo lei, Vanoli riuscirà adesso alla ripresa del campionato, dopo la sosta per la Nazionale, la cosiddetta quadra, per riuscire almeno ad arrivare fino al calciomercato di gennaio nella speranza poi che la società a quel punto intervenga?
“Ho molta stima di Vanoli, lo ritengo uno dei tecnici emergenti e spero che non venga bruciato per responsabilità e colpe che non sono sue. Voglio sperarlo perché ho visto una sua reazione molto positiva dopo il derby disputato e non giocato. E’ stato il primo ad avere capito che non si poteva giocare in quel modo un derby quindi mi ha fatto tornare in mente il Giagnoni di antiche stagioni o il Gigi Radice di altre stagioni, un sergente di ferro che prende in mano la situazione e cerca di riassettarla. Io spero che i ragazzi capiscano che in questo momento devono fare la differenza con la loro capacità di metterci cuore, testa e gambe perché è adesso che si sta decidendo la stagione del Torino, siamo ad un momento di svolta decisiva. Mi sembra che le parole di Vanoli siano state molto chiare e che adesso la palla passa ai ragazzi, mentre la società sarebbe dovuta intervenire da tempo e a questo punto dovrà necessariamente farlo nel mercato di riparazione di gennaio”.
Da 1 a 10 quanto si aspetta che possa intervenire la società?
“5”.
Immagino che si aspetti che intervenga il 2 di gennaio quando aprirà il mercato senza attendere, come di solito capita, gli ultimi giorni?
“Io non conosco Cairo, ma vorrei fargli una domanda: sei un capitano d'industria, sei l'editore di una televisione di successo, La7, e del primo quotidiano d'Italia, Il Corriere della Sera, ma che te ne fai di un Toro senza arte né parte? Il Toro è solo un pezzo di un sistema di relazioni? Io non credo e quindi penso che così come lui è stato in grado di essere un imprenditore di grande successo nel campo della pubblicità e nel campo dell'editoria, dovrebbe essere all'altezza anche nel campo del calcio e invece sono passati 19 anni e questo non l'abbiamo visto e quindi va compreso il malumore che c'è tra i tifosi, non va né stigmatizzato né tantomeno demonizzato”.
A proposito di Cairo, anche lei avrà sentito le voci su una possibile venda del Torino e che magari la Red Bull, colosso mondale dell’energy drink, sia il compratore. Crede che effettivamente si possa arrivare a una vendita del Torino?
“La stagione del capitalismo familiare nel calcio è sostanzialmente al tramonto, l'ingresso dei grandi fondi d’investimento, delle grandi corporation che utilizzano il calcio per promuovere il marketing di marchi, delle trasformazioni degli stadi in luoghi di produzione di merchandising: tutto questo è il futuro. E’ evidente che se vogliamo una società che vada nel futuro, dobbiamo dire a Cairo di fare un salto che evolva rispetto al capitalismo familiare, diversamente dobbiamo auspicare che ci sia qualche fondo arabo, cinese, catariota, emiratino, statunitense, di quelli che oggi stanno facendo girare i soldi nel mondo, che possa essere interessato al brand Torino per investirci sopra. Credo che, per i motivi che ho detto in precedenza, il brand Torino sarebbe un brand che parla al mondo, perché la sua storia è di portata internazionale e quindi delle due l’una: o c'è questo salto di qualità oppure ci deve essere la disponibilità a cercare partner industriali e finanziari che siano all'altezza di questo tipo di investimento, diversamente non si sta nel grande calcio, anzi, diversamente si fugge dal grande calcio”
Ma ci sono le basi per una cessione da parte di Cairo del Torino?
“Il club è una società che ha i fondamentali economici a posto, ha un nome, ha un brand ed è espressione di una città che è tutt'altro che marginale nel panorama italiano ed europeo, anche se ha una eccessiva tendenza a rinchiudersi su se stessa e a piangersi un po' addosso secondo me. Quindi i fondamentali il Toro li ha, il punto è capire se c'è la volontà del presidente di cedere il club. Quello che a mio avviso è chiaro è che questa stagione dimostra che non possiamo più rimanere eternamente nel limbo. Questo è di tutta evidenza”.
Alla ripresa ci sarà la partita con il Monza, poi quella con il Napoli, entrambe in casa, e successivamente due gare in trasferta con Genoa e Empoli, quattro partite che diranno effettivamente quanto vale questo Torino e se è ancora in grado di dire qualcosa nel campionato senza rischiare di finire a lottare per la salvezza?
“Esatto, secondo me queste quattro partite sono le partite chiave della stagione, sia perché giochiamo con squadre che potenzialmente sono di un rango col quale bisogna giocarsela fino in fondo sia perché quando giocavamo con grandi squadre, all'inizio di stagione, ci esaltavamo, infatti abbiamo rischiato di vincere a San Siro col Milan e abbiamo battuto l'Atalanta esprimendo un grande calcio. Allora io direi ai ragazzi: tornate ad essere quelli contro il Napoli e non fate gli schizzinosi contro le altre squadre. Bisogna veramente che escano fuori con la maglia strappata e bagnata, perché sono quattro partite in cui si decide tutto, credo anche il destino di alcuni giocatori”.
E forse anche dell'allenatore?
“Ripeto, voglio sperare di no, perché ho molta stima di Vanoli e sarebbe in questo momento individuare un capro espiatorio ingiusto, perché Vanoli si trova a dover fare con cose che gli sono state date in mano, diciamo così”.
Un'ultima domanda, manca poco più di un mese a Natale, se dovesse scrivere la classica letterina a Babbo Natale cosa chiederebbe non per lei, ma per il Toro?
“La classica letterina? Dacci una società che ci porti in Champions League, perché quella è la naturale collocazione di una squadra come il Torino”.